1 Settembre 2021

Il fatto
La decisione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Ordinanza del 14 gennaio 2021, IV Sez. civile) trae origine dal reclamo promosso da P.S e P.E, ai sensi degli artt. 624 e 669 terdecies c.p.c. (rispettivamente sospensione per opposizione all’esecuzione e reclamo avverso i provvedimenti cautelari) contro l’ordinanza del 20 marzo 2020, pronunciata sulla opposizione alla esecuzione.
I reclamanti, in particolare, nell’unico motivo di doglianza, hanno lamentato la violazione dell’art. 38 T.U.B,, in specie, eccependo la nullità del contratto di mutuo per superamento del limite di finanziabilità, evidenziando come non sarebbe stato rispettato il limite di finanziabilità, parametrato sul valore dell’80% del valore dell’immobile posto a garanzia, così come indicato all’art. 1 della delibera C.I.C.R. del 22 aprile 1995, (alle delibere C.I.C.R. fa espresso rinvio l’art. 38, comma 2 TUB).
Si è sostenuto quindi che l’unico valore di riferimento per calcolare il superamento del limite di finanziabilità debba essere il valore cauzionale del bene, definito quale il netto realizzo in sede di vendita giudiziale ovvero l’importo che si può ragionevolmente ricavare dalla vendita di un bene.
La formula utilizzata dai reclamanti, in particolare, tiene conto di alcune riduzioni quali quella del 10% per la probabilità di evizione; quella del 25% per la mancata partecipazione alle aste; quella relativa alle spese legali della procedura e alla rivalutazione monetaria per il tempo occorrente alla realizzazione del diritto di credito.
In virtù del superamento della soglia così come determinata dalla delibera C.I.C.R. il contratto di mutuo avrebbe dovuto dunque essere considerato nullo.
Superamento del tasso soglia e nullità del contratto
L’art. 38 del D. Lgs. n. 385 del 1993 (c.d. Testo Unico Bancario), dopo aver precisato che “il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili” (primo comma), attribuisce alla Banca d’Italia il potere – da esercitarsi in conformità delle deliberazioni del C.I.C.R. – di “determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati e al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti” (secondo comma).
L’interpretazione della norma citata è stata interessata da una evoluzione giurisprudenziale, che ha avuto due espressioni completamente diverse negli ultimi anni.
In un primo momento, è intervenuta la sentenza Cass. Sez. 1, n. 26672 del 28/11/2013 che ha statuito che “l’art. 38 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, che, a tutela del sistema bancario, attribuisce alla Banca d’Italia il potere di determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, attiene ad un elemento necessario del contratto concordato fra le parti, quale è l’oggetto negoziale, e, pertanto, non rientra nell’ambito della previsione di cui all’art. 117 del medesimo decreto, il quale attribuisce, invece, all’istituto di vigilanza un potere “conformativo” o “tipizzatorio” del regolamento negoziale a tutela del contraente debole; ne deriva che il superamento del limite di finanziabilità non cagiona alcuna nullità, neppure relativa, del contratto di mutuo fondiario.”
Successivamente è intervenuta, la sentenza Cass. Sez. 1, n. 17352 del 13/07/2017 che ha consapevolmente rivisitato il precedente orientamento, stabilendo che “in tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità ex art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 385 del 1993, è elemento essenziale del contenuto del contratto ed il suo mancato rispetto determina la nullità del contratto stesso (con possibilità, tuttavia, di conversione in ordinario finanziamento ipotecario ove ne sussistano i relativi presupposti), e costituisce un limite inderogabile all’autonomia privata in ragione della natura pubblica dell’interesse tutelato, volto a regolare il quantum della prestazione creditizia al fine di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare ed agevolare e sostenere l’attività di impresa”.
Nel 2019 la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 17439, si è pure pronunciata in tal senso, statuendo che il mutuo fondiario, concesso per un ammontare superiore all’80% del valore dei beni ipotecati, debba intendersi non solo irregolare (con sanzioni unicamente amministrative), bensì nullo, investendo la nullità non solo la somma eccedente l’80%, ma il contratto nella sua interezza.
La Corte ha specificato, in quella stessa sede, che la tesi della nullità parziale verrebbe ostacolata sia dalle difficoltà pratico-giuridiche di conciliare il frazionamento dell’unico contratto stipulato tra le parti con il possibile consolidamento dell’ipoteca per la sola porzione fondiaria, sia dalla previsione di cui all’articolo 38 TUB, che, rinviando alle deliberazioni C.I.C.R. (nello specifico quella del 1995) impone il rispetto del limite dell’80% nell’operazione di credito fondiario.
La decisione del Tribunale
Nel caso in esame, il Tribunale ha dichiarato il ricorso infondato, adducendo alla base della propria decisione una serie di valide motivazioni.
I Giudici di Santa Maria Capua Vetere partono, anzitutto, con alcune precisazioni in relazione al calcolo del limite di finanziabilità fissato nella misura dell’80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sui beni medesimi.
Secondo il Tribunale, infatti, il rapporto deve necessariamente instaurarsi tra somma erogata e valore dell’immobile al momento della stipula del contratto; di talché non è ritenuta corretta l’impostazione di chi collega valori non previsti dalla norma, e cioè, nella specie, le prospettazioni di calcolo che indicano come valori, il valore erogato e quello della iscrizione ipotecaria, oppure il valore erogato ed il prezzo base d’asta previsto nella perizia di stima in sede di espropriazione, o ancora quello erogato e quello successivamente assunto dall’immobile.
Il rapporto proporzionale espresso nei limiti dell’80% (aumentabile al cento per cento in presenza di garanzie integrative) e indicato come limite di finanziabilità, deve, dunque, necessariamente instaurarsi tra somma erogata e valore dell’immobile al momento della stipula del contratto.
Dalla perizia presentata dai reclamanti, inoltre, secondo il Tribunale, non sarebbe, in verità, emerso il superamento di detta soglia di finanziabilità, presentandosi la perizia stessa povera di dettagli.
Il tecnico ha, infatti, operato una valutazione dell’immobile riferita all’anno 2017, basata sul criterio definito del “costo deprezzato”, rapportando, inspiegabilmente, lo stesso valore anche al 2009.
Detto criterio, in base alle linee guida emanate dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI) è definito quale possibile procedura di stima del valore di mercato di un immobile; in particolare, il metodo considera la possibilità che in alternativa all’acquisto del bene in stima, un individuo possa acquistarne uno equivalente che fornisca pari utilità.
La mancanza di chiarezza e precisione nelle valutazioni, secondo il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, avrebbe reso, di fatto, impossibile affermare il superamento del limite di finanziabilità, così come definito dal combinato disposto dell’art. 38, comma 2 TUB con la delibera C.I.C.R. del 22 aprile 1995.
I Giudici hanno proceduto, quindi, a rivalutare l’immobile, avvalendosi del criterio di stima del Costo di Sostituzione Deprezzato (depreciated replacement cost), previsto dalla dottrina dell’estimo (con la locuzione “estimo” si intende quella disciplina che ha come finalità quella di fornire gli strumenti teorici e metodologici, affinché un valutatore possa effettuare la valutazione di quei beni per i quali non esiste un apprezzamento univoco).
A seguito della rivalutazione, il limite non è stato, di fatto, superato, di talché il Tribunale, anche in virtù di tutte le considerazioni di cui sopra, stante pure la mancanza di una scrupolosa perizia, ha confermato la pronuncia del Giudice di prime cure e non ha dato seguito all’istanza dei reclamanti.



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