18 Ottobre 2022

“Le parti del processo esecutivo hanno l’onere di denunciare con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. l’erroneo trasferimento all’aggiudicatario di un cespite che è oggetto di pignoramento, essendo inammissibile un’azione (nella specie di rivendica) autonoma, cioè distinta dai rimedi tipici dell’esecuzione forzata, da esse proposta per contrastare gli effetti dell’esecuzione, ponendoli nel nulla o limitandoli.”
Con sentenza n. 27677 del 21 settembre 2022 la Suprema Corte si è espressa in merito a se e come, nell’ambito del processo esecutivo, l’atto traslativo di un immobile possa essere contestato. La Stessa risponde al quesito differenziando i soggetti terzi, cioè estranei all’esecuzione, da quelli esecutati, ovvero coinvolti nel procedimento esecutivo.
Più nel dettaglio, qualora il soggetto leso dal trasferimento coattivo di un diritto reale sia estraneo all’esecuzione, costui potrà ricorrere con giudizio autonomo anche nei confronti dell’aggiudicatario per vedere accolte le proprie ragioni. Differentemente, l’esecutato non potrà avvalersi di un’azione (nel caso di specie di rivendica) autonoma, ovvero distinta dai rimedi tipici dell’esecuzione forzata.
Si pone dunque a carico dell’esecutato l’onere di denunciare l’eventuale lesione procurata dal trasferimento coattivo di un loro diritto reale, esclusivamente con l’opposizione ex art 617 c.p.c.
Si può quindi affermare che lo scopo della sentenza sia stato quello di cercare di garantire la massima stabilità possibile ai risultati del processo esecutivo, ponendo a carico del soggetto coinvolto nella procedura l’onere di attivarsi nell’ambito della stessa, inibendo ogni altra forma di azione autonoma.
IL CASO:
Caia agiva nei confronti di Tizio rivendicando l’area di sedime di un fabbricato assumendo di esserne la legittima comproprietaria. L’attrice contestava l’acquisto di detta area intervenuto col decreto di trasferimento affermando che il predetto terreno costituiva corte comune dei fabbricati della stessa e del coniuge. Il convenuto contestava la pretesa attorea rilevando che la menzionata area era stata oggetto di esplicita considerazione nell’elaborato peritale ed, in via riconvenzionale, domandava la rimozione e demolizione dei manufatti eseguiti dall’attrice nella zona contesa e il risarcimento dei danni procuratigli dalla stessa in ragione del tardivo rilascio del cespite aggiudicato.
Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda attorea condannando a ripristinare lo status quo ante, alterato dalle opere realizzate dal medesimo su area di proprietà comune e non esclusiva; rigettava le domande riconvenzionali del convenuto e lo condannava al pagamento delle spese di lite; il giudice di prime cure rilevava che nel processo di esecuzione forzata l’immobile era stato suddiviso in diversi lotti (il primo attribuito al convenuto ed il quarto all’attrice), ai quali era comunque comune la pertinenziale area oggetto di contesa.
Nel proporre appello Tizio chiedeva la riforma della decisione di primo grado per avere inciso la stabilità e definitività del decreto di trasferimento del bene, atto traslativo a suo favore della proprietà esclusiva del terreno, non impugnato con opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. da Caia, pur essendo quest’ultima parte del processo esecutivo.
La Corte d’appello in parziale riforma del provvedimento impugnato, condannava Caia al risarcimento del danno per ritardato rilascio del bene e alla rimozione di una tettoia; respingeva per il resto il gravame di Tizio e lo condannava al rimborso di una parte delle spese del giudizio.
Avverso la succitata decisione veniva proposto ricorso per Cassazione. La Corte, espressasi sul caso in questione, ha affermato che le contestazioni riguardanti gli atti di una fase del procedimento «sono irreversibilmente precluse nella successiva fase» se non tempestivamente rilevate con gli appropriati strumenti oppositivi e, soprattutto, che anche «eventuali difformità tra risultanze e consistenza del bene come effettivamente individuate nel decreto di trasferimento rispetto a quelle reali, devono essere fatte valere all’interno del processo esecutivo con gli appropriati rimedi oppositivi.» La Stessa ribadisce inoltre che detto principio non vale nei confronti dei soggetti terzi, rimasti estranei al processo esecutivo: in quanto tali, essi non legittimati alla proposizione dell’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ., ma devono riconoscersi dotati allora della legittimazione ad agire a tutela delle proprie ragioni (e, segnatamente, a rivendicare la titolarità dei cespiti oggetto dell’espropriazione) con autonome azioni di accertamento della proprietà, oltre che, se ancora pendente l’espropriazione, con l’opposizione di terzo ex art. 619 cod. proc. civ..
Nel caso di specie, la controricorrente, però, non può essere considerata terza rispetto alla procedura espropriativa. È pur vero che, da un punto di vista formale, potrebbe ritenersi terza rispetto alla vendita forzata del singolo lotto, ma la medesima è, sotto il profilo processuale, intranea all’unitario processo esecutivo, coinvolta nella procedura quale (con-)debitrice esecutata, se non pure quale titolare per assegnazione di uno dei lotti oggetto di esecuzione. In ragione della descritta situazione processuale, lei ha comunque partecipato al procedimento di esecuzione forzata e non può essere considerata alla stregua di un terzo estraneo alla procedura: ne consegue che l’unico strumento a sua disposizione era costituito dall’opposizione agli atti esecutivi.
Applicando i suesposti principi alla fattispecie in esame, la Corte ha stabilito che l’erroneo trasferimento di un bene oggetto di pignoramento (l’area contesa) doveva essere denunciato dalle parti del processo esecutivo e dagli altri soggetti in esso coinvolti – e, dunque, anche dall’esecutata e assegnataria – con una tempestiva opposizione all’atto esecutivo asseritamente erroneo, ai sensi dell’art. 617 cod. proc. civ..

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